La mia passione per il mare, sin dall’infanzia totale dipendenza e poi professione, è nata a Palau, tra i graniti dell’Arcipelago di La Maddalena, nel vento teso che destabilizza e rende limpidi aria e pensieri. Paolo Angeli, con la sua caratteristica maglia a righe, è sempre stata una curiosa presenza in paese, un singolare personaggio agli occhi dei “vacanzieri” che come me trascorrevano i mesi estivi nella cittadina sarda; ci legava una comune passione per il mare, per la pesca ai calamari e per i suoni senza confini. Il festival “Isole che Parlano”, organizzato da Paolo Angeli e da suo fratello Nanni, eccellente fotografo, divenne così per me sin dalla prima edizione un appuntamento annuale irrinunciabile: un vortice caleidoscopico di espressione artistica nel pieno della stagione balneare della Costa Smeralda: jazz, avanguardia, folk, musica sperimentale, world; una manifestazione così fuori luogo, così assurda e splendida da renderla essenziale.
Il percorso di vita intrapreso da Paolo Angeli lo allontanerà dall’Isola per condurlo a Bologna, poi stabile a Barcellona. Dall’incontro tra avanguardia e tradizione popolare nascerà la sua “chitarra preparata”, uno strumento-orchestra a 18 corde, chitarra, violoncello, batteria, dotato di martelletti, pedaliere, eliche a passo variabile collegato a sinth e loopstation; una carriera musicale personalissima ed in costante ascesa lo porterà a suonare in tutto il mondo e a collaborare con musicisti del calibro di Pat Metheny, Fred Frith, Hamid Drake, Evan Parker e tanti altri nomi della scena jazz, world e avanguard internazionale. Nella sua discografia lunga e articolata Paolo elabora, improvvisa e compone una musica inclassificabile, sospesa tra free jazz, folk, noise, psichedelia e musica minimale.
“Jar’a” (2021) è l’ultimo capitolo nel percorso del musicista sardo, frutto di 4 ore di registrazioni effettuate nel maggio 2020 a Barcellona, viene successivamente rimaneggiato, edito e mixato in Sardegna. Sulle sponde opposte del Mediterraneo vengono strutturate le fondamenta di un lavoro che appare come un lungo ponte d’unione per le infinite sfaccettature ed influenze acquisite da Angeli in decenni di viaggi e collaborazioni; in questo disco mette a fuoco, con ancora maggiore precisione e maturità, il suo suono sintesi tra tradizioni ancestrali e musica contemporanea, sottraendo qualsiasi sovrastruttura, qualsiasi possibile manierismo di genere e producendo probabilmente il suo disco più accessibile e sorprendente.
“Jar’a” si presenta come una suite di 42 minuti strutturata in 6 movimenti; registrata in presa diretta, composta da parti improvvisate e senza alcuna sovraincisione. L’arpeggio acustico di Ea apre il disco e viene messo in evidenza su di un loop ossessivo che introduce la lunga title track di Jar’a, l’andamento minimale si evolve in stratificazioni timbriche e armoniche ricercate che fluiscono in un crescendo epico e cinematografico, le atmosfere di Jar’a ricordano in parte la fusion folk-psichedelica di “Dreams” il capolavoro anni ’60 di Gàbor Szabò e l’andamento di un certo post rock apocalittico d’oltreoceano. La ritmica cadenzata di Futtì entu riporta ad una danza ancestrale propiziatoria di una etnia fuori dal tempo e dallo spazio. Nei suoni di Sùlu vengono introdotte la voce di Paolo Angeli, distorta e deformata da un vento elettronico e quella granitica, gutturale di Omar Bandinu che si dispiegano su di un lancinante tappeto di stridenti glitch. I brani di “Jar’a” risultano per lo più dilatati e diffusi, ma allo stesso tempo venati da una costante inquieta nevrosi, ne è un esempio l’oscura Lanci che ruota fuori controllo attorno a vortici di delay analogici; chiude il disco Groppo, dove parole di un idioma sconosciuto, perduto nel tempo, vengono catalizzate e disperse dall’ambiente circostante: un pulsare di segnali elettromagnetici primordiali diffusi dal Maestrale nell’ attesa di ricevere risposta.

- Ea
- Jar’a
- Futti ‘entu
- Sùlu
- Lanci
- Groppo